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Clima: dal summit di Obama notizie positive

di luca.pistolesi 30 aprile 2009
By Gregoriano

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Riduzione dei gas serra, l’accordo è possibile. Questa la conclusione tratta dai delegati che hanno partecipato il 27 e 28 aprile scorso al summit sui cambiamenti climatici di Washington. L’incontro, voluto da Obama e organizzato in meno di un mese, doveva fungere da prima tappa di avvicinamento alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Copenhagen, in programma nel prossimo dicembre. Un segnale forte di discontinuità dell’amministrazione americana, dopo otto anni in cui Bush aveva condotto gli Usa dalla parte dei negazionisti dell’effetto serra.
Al summit hanno partecipato i delegati delle sedici nazioni più sviluppate del pianeta, più i delegati dell’Onu e della Danimarca, che saranno i padroni di casa a dicembre. Il delegato statunitense, Todd Stern (1), ha dichiarato di essere uscito dalla due giorni molto più ottimista di quando vi era entrato: “Tutti là dentro, i cinesi, gli indiani, i brasiliani, tutti abbiano avuto questa sensazione. Certo, non voglio sottovalutare le difficoltà: saranno tantissime, quando cercheremo di trovare un accordo su come trasformare queste intenzioni in fatti concreti”.

Non dovevamo aspettarci di più da questo primo incontro, cui ne seguirà un altro a Parigi il mese prossimo, e poi un altro ancora, in luogo e data da destinarsi, prima del G8 di luglio a L’Aquila. Solo in quell’occasione, probabilmente, potremo capire se i grandi della Terra fanno sul serio oppure no. Il global warming è un problema che riguarda l’intero pianeta, ma cui possono porre rimedio soltanto le grandi potenze industriali e i paesi in forte crescita. Basti pensare che il 75% delle emissioni inquinanti proviene dai sedici stati che hanno partecipato al summit di Washington.

L’ottimismo di questi giorni fa ben sperare, ma non possiamo dimenticare cosa è successo nell’ultimo summit Onu sul clima, quando l’opposizione di alcuni grandi Paesi come India, Cina e Stati Uniti impedì il superamento di Kyoto. Proprio la sigla su un nuovo documento a Copenhagen è la posta in palio di questa partita. Le posizioni sono tutt’ora molto distanti. Obama pensa di poter far digerire agli americani una riduzione del 15% di emissioni entro il 2020, calcolata sui livelli del 2000. L’Unione Europea è molto più avanti, dato che vuole imporre ai membri nello stesso lasso di tempo un 20% in meno sui livelli del ’91; alcuni stati, tra cui dispiace dirlo l’Italia, hanno però sollevato obiezioni. I paesi in via di sviluppo come Cina, India e Indonesia sembrano invece ancora più titubanti, quando non addirittura determinati a non fare nulla. Di lavoro da fare, quindi ce n’è ancora molto. Oggi però abbiamo voglia di pensare positivo.

(1) Special Briefing: Major Economies Forum on Energy and Climate. Todd Stern

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