“Rischiamo una catastrofe irreversibile”. Barack Obama ha definito così la situazione mondiale sui cambiamenti climatici. Una minaccia “grave, urgente e crescente”, che rischia di gravare sulle future generazioni. Come successo nei mesi scorsi, è proprio la nuova amministrazione americana a guidare il fronte dei Paesi decisi a porre un freno al surriscaldamento globale.
L’occasione è stata la giornata inaugurale della 64° Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite, in programma in questi giorni al Palazzo di Vetro dell’Onu, a New York. Una giornata che il Presidente dell’Onu Ban Ki-moon ha voluto dedicare proprio ai cambiamenti climatici, in vista dell’ormai imminente Conferenza di Copenhagen, che dovrà a tutti i costi concludersi con la firma di un accordo internazionale sulla riduzione delle emissioni di gas serra.
“I negoziati procedono con una lentezza glaciale”, ha detto Ban Ki-moon, “e per raggiungere un accordo abbiamo a disposizione ormai soltanto 15 giorni effettivi di trattative”. Il segretario dell’Onu è arrivato quasi a minacciare i Capi di Stato, avvertendoli che un fallimento a Copenhagen sarebbe “moralmente ingiustificabile, economicamente miope e politicamente avventato. In dieci anni la situazione diverrà irreversibile”.
Avvertimento che, dispiace dirlo, non sembra aver smosso più di tanto i leader presenti. Certo, ha fatto notizia il mezzo impegno della Cina a una generica “riduzione significativa delle emissioni entro il 2020”. Le parole pronunciate dal presidente cinese Hu Jintao sembrano in effetti un bel passo avanti rispetto alla posizione tenuta solo pochi mesi fa. Tuttavia, a Copenhagen non si potrà fare affidamento su promesse aleatorie o su buone intenzioni: l’unica strada percorribile per interrompere in tempo i cambiamenti climatici è un impegno vincolante, sottoscritto da tutti gli Stati (o almeno da quelli del G14) e protetto da sanzioni rilevanti per i trasgressori.