Il Governo giapponese ha confermato il progetto di chiudere tutte le sue centrali nucleari entro il 2030: in 18 anni di tempo, il Giappone deve passare da circa il 30% di dipendenza energetica dall’atomo a zero. Una sfida tutto sommato alla portata, come sottolinea Greepeace International: dopo il disastro di Fukushima, infatti, il governo nipponico decise di spegnere 48 centrali su 50 per circa due mesi, per controlli di sicurezza. Nonostante ciò, nessun black out fu segnalato.
Tolto il fiato ai disfattisti nuclearisti, che sostengono che all’atomo non c’è alternativa, al governo giapponese non resta che programmare una nuova politica energetica. Secondo Greenpeace, che ha elaborato un progetto energetico da sottoporre al governo nipponico, per il Giappone è alla portata una svolta epocale: puntando sul risparmio energetico e sulle fonti rinnovabili, il Paese può raggiungere l’autosufficienza energetica e allo stesso tempo l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra.
La stessa associazione ambientalista sottolinea però come l’annuncio del Governo giapponese sia da prendere con le pinze: così come l’Italia, il Giappone è politicamente molto instabile. L’attuale maggioranza democratica guidata da Yoshohiko Noda ha scelto di uscire dall’atomo, dando ragione ai sempre più pressanti movimenti antinuclearisti interni. Tuttavia, una maggioranza di segno diverso, nei prossimi anni, potrebbe decidere di fare un passo indietro.
Non sarà così, almeno nelle previsioni, nell’altro grande paese che ha deciso di mollare l’energia atomica, la Germania. La decisione fu presa in tempi precoci dalla maggioranza composta da Verdi e Socialdemocrazia del Cancelliere Gerhard Schröderr. Fu poi smentita dalla nuova maggioranza CDU-CSU guidata da Angela Merkel, che rallentò il processo di spegnimento delle centrali, fino a che il disastro di Fukushima non la costrinse a riallinearsi sulla posizione della sinistra e dei Verdi. Un nuovo dietrofront, a questo punto, sarebbe difficilmente giustificabile.