Il Parlamento Europeo sta cercando di mettere a punto una posizione comune per i Paesi membri da portare alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in programma dal 7 al 18 dicembre a Copenhagen (denominata, per semplicità, COP15). In particolare, fa sapere l’ufficio stampa del Parlamento di Strasburgo, nei prossimi giorni sarà deciso quanti soldi l’Unione Europea sarà in grado di mettere sul piatto per aiutare i Paesi poveri ed emergenti a ridurre le loro emissioni di gas serra.
Nel frattempo, delegazioni di parlamentari europei sono al lavoro, in giro per il mondo, per convincere le altre potenze a presentarsi a Copenhagen con un piano di riduzione delle emissioni compatibile con le richieste. Le preoccupazioni maggiori provengono dai quattro maggiori Paesi non-europei.
Gli Stati Uniti sotto l’amministrazione Obama hanno già fatto molti passi in avanti, ma di certo non ancora sufficienti. Obama durante la campagna elettorale dell’anno scorso aveva promesso di portare gli States all’avanguardia in politica ambientale: a Copenhagen sarà il momento di mantenere le promesse. Dal Brasile, invece, bisogna aspettarsi risposte sul campo della lotta alla deforestazione, contro la quale, fino ad ora, si è fatto troppo poco. I nodi più difficili da sciogliere, però, riguardano soprattutto la Cina e l’India, Paesi che hanno cominciato ad inquinare da pochissimi anni e che quindi si considerano ‘in credito’ di emissioni rispetto ai Paesi di prima e seconda industrializzazione. La Cina, per bocca del Presidente Hu Jintao si è presa un generico impegno a una “significativa riduzione” delle emissioni, mentre l’India a più riprese ha precisato che difficilmente da Copenhagen potrà uscire qualcosa di più di un accordo di massima.
Tutto il contrario di quello che speriamo e che anche il Parlamento Europeo auspica. L’obiettivo, secondo l’Assemblea di Strasburgo, è un patto di riduzione del 25-40% rispetto ai livelli di emissioni del 1990 entro il 2020 per i Paesi avanzati, e del 15-30% per i Paesi in via di sviluppo, da rivedere ogni 5 anni per aggiornare le aspettative al progresso tecnologico. Secondo il Parlamento, inoltre, l’Europa dovrà essere in grado di mettere sul piatto almeno 30 miliardi di euro all’anno a partire dal 2020 per aiutare la riconversione energetica dei Paesi terzi. Ma la soluzione non è semplice, perché diversi Paesi dell’est, capitanati dalla Polonia, hanno già fatto sapere di non aver nessuna intenzione di sobbarcarsi il peso dei Paesi in via di sviluppo in modo sproporzionato rispetto alle loro capacità.
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Bell’idea…W i NATURALISTI!