Solo due anni fa i biocarburanti erano stati spacciati per la soluzione semplice al problema complesso dell’esaurimento dei combustibili fossili. L’anno scorso sono stati invece additati come responsabili principali, o forse unici, dell’aumento inverosimile dei prezzi dei genere alimentari. Ora assistiamo al litigio tra le associazioni di produttori di biocarburanti e le organizzazioni internazionali, dalla Banca Mondiale alla Fao: da una parte chi ne sponsorizza i vantaggi, dall’altra chi ne evidenzia i problemi… Chi ha ragione? Vale la pena di investire nella ricerca e nella produzione di biocarburanti? Possono davvero sostituire il petrolio?
A livello ambientalista, un vantaggio nell’uso dei biocarburanti, in luogo dei derivati del petrolio, sicuramente esiste. Il biodiesel, in particolare, è una fonte energetica rinnovabile, non soggetta a scarsità e totalmente biodegradabile se dispersa nell’ambiente. E’ caratterizzato da un ciclo chiuso dell’anidride carbonica (CO2), uno dei principali gas responsabili dell’effetto serra: la CO2 emessa dalla sua combustione è quella precedentemente immagazzinata dal vegetale. Inoltre, c’è una significativa riduzione delle emissioni di polveri sottili (PM10). Un altro grande vantaggio è che l’olio di questi prodotti non contiene composti a base di zolfo, che bruciando formano gli SOx, né composti aromatici, molecole altamente cancerogene. Per contro, la combustione di biodiesel genera un aumento degli ossidi di azoto (NOx) responsabili in parte delle piogge acide e della formazione di ozono a bassa quota, che se inalato è irritante e tossico.
Anche a livello economico il biodiesel è vantaggioso, perché la sua lavorazione è più semplice e genera come sottoprodotto la glicerina, molto utile anche a livello industriale.
Tuttavia, se si volesse pensare a una completa sostituzione del carburante fossile, va tenuto presente che non basterebbe l’intera estensione dell’ Italia a fornire l’area coltivabile necessaria al nostro fabbisogno annuale di carburante. Inoltre, come è risultato evidente tra il 2007 e il 2008, gli incentivi statali per la coltivazione di biocarburanti provocano necessariamente la riduzione di aree destinate ai cereali ad uso alimentare e quindi l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, dal pane, alla pasta al latte. E se tali aumenti possono essere sgradevoli in occidente, essi possono avere risultati drammatici nei paesi in via di sviluppo. Il World Food Programme, l’organizzazione Onu per gli aiuti alimentari, ha già lamentato l’impossibilità di portare a compimento i suoi impegni se i prezzi dovessero tornare a salire.
Insomma, i biocarburanti non possono essere la soluzione al problema energetico globale. La sostituzione di parte del diesel e della benzina provenienti dal petrolio con il biodiesel e il bioetanolo è auspicabile soltanto a una condizione: che per correre dietro alla chimera del carburante verde non si metta a repentaglio la vita di milioni di persone. Dunque, ben vengano i biocarburanti, soprattutto se migliorati nell’efficienza energetica, ma solo se provengono da coltivazioni strappate all’incuria o al deserto.
L’unico carburante verde perfettamente biocompatibile è al Guinnes verde che domani sarà possibile bere in onore di San Patrizio. Visitate l’Irish Pub più vicino e ubriacatevi.